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Intervista a Paolo Davini, Segretario FIOM CGIL Tigullio – Golfo Paradiso

Paolo Davini segretario FIOM CGIL per Tigullio e Golfo Paradiso, cominciamo con la domanda più difficile che si possa fare.

Quando ci si trova a bilanciare tra la tutela della salute del lavoratore con quella del suo portafoglio, in una situazione traumatica e straordinaria come questa, fino a che punto si può spingere il compromesso?


Nessun compromesso. Anche in una situazione come questa, la salute e la sicurezza del lavoratore viene prima di tutto. Purtroppo, mentre ci sono datori di lavoro responsabili, e sul nostro territorio, devo dire, ce n’è più di uno, ce ne sono altri che, pur in una situazione come questa, cercano di fare pressione sul Governo centrale per ottenere dei privilegi che vanno a discapito di diritti e salario e Soprattutto a rimetterci è la salute dei lavoratori e questo succede principalmente nelle fabbriche dove il sindacato non riesce a svolgere il suo ruolo, perché non rappresentato. Spesso le misure messe in campo sono assolutamente insufficienti. La sicurezza ha un costo sia diretto (acquisto di materiale e messa in opera di tutto quello che è necessario) che indiretto (diminuzione della produzione, ad esempio), ma in una situazione critica come questa, in un momento difficile per tutti, sindacalmente, non ce la sentiamo di abbassare la guardia. Quello che è successo in Fincantieri, in cui abbiamo indetto 8 ore di sciopero il 20 aprile scorso, perché ritenevamo che i provvedimenti insufficienti rispetto al numero dei lavoratori previsti in ingresso, anche in relazione al territorio (perché ci sentiamo di dover “proteggere” anche la popolazione intorno alle aziende) deve fungere da esempio. Meglio tanto di più, che poco di meno.

Puoi farci un quadro della situazione nelle fabbriche del territorio all’alba della Fase 2?

Come ho detto prima, ci sono aziende di medie dimensioni che hanno messo in campo tutto quello che era necessario per proteggere i lavoratori, anche sacrificando delle giornate di produzione per sanificare gli ambienti e studiare una nuova organizzazione aziendale (nuova turnazione per impedire l’incrocio dei turni di lavoro in ingresso e in uscita, agevolazioni per i lavoratori dovendo sospendere il servizio della mensa aziendale, risistemazione degli spogliatoi eccetera). E questo è avvenuto con un confronto costante e costruttivo con il sindacato. Altre, purtroppo, e sono tutte piccole e micro aziende, hanno dovuto per una serie di fattori (chiusura dei clienti e dei fornitori) chiedere l’accesso alla CIGO prevista dal Governo per questa situazione sanitaria. Purtroppo, molto spesso, le stesse non sono in grado di anticipare il trattamento economico ai lavoratori che si trovano, quindi, senza né stipendio né sostegno pubblico. Ci sono state anche delle forzature, e qui ritorno su Fincantieri. Tutte le aziende che hanno aperto, o che sono rimaste aperte, hanno fatto questa scelta obbligata per non perdere quote di mercato o per non mettere in difficoltà i loro clienti all’estero. Costruire navi da guerra, sinceramente, non mi sembra, invece, una priorità.

Come sindacalista ti è mai capitato, e se si in quale contesto, di lottare con il tuo datore di lavoro e non contro?

Può capitare e succede soprattutto quando c’è un imprenditore che investe sul territorio e rimane bloccato da lacci burocratici, ad esempio, e ci viene chiesto di fare pressione sulla politica locale. Compito del sindacato è anche proteggere i posti di lavoro. Questo non vuole dire, se mi è consentito il termine, “calarsi le braghe” di fronte all’azienda, ma anche collaborare, nel rispetto dei diritti e del salario.

Siamo al Primo Maggio, la festa del lavoro e dei lavoratori, quali rimpianti, quali obiettivi, quali speranze per il futuro?

A livello locale e personale, è troppo poco tempo che occupo questo posto per avere dei rimpianti. Certo, da delegato sindacale, qualche rimpianto ce l’ho di sicuro, ma alcune scelte le fai sempre cercando di fare il meglio e a volte sbagli. L’importante, secondo me, è sempre e comunque aver agito in buona fede.
Gli obiettivi me li pongo di giorno in giorno. Sicuramente il principale è quello di far capire ai lavoratori l’importanza di essere iscritti al sindacato. Sono entrato in fabbrica, dove ho passato circa 25 anni, senza avere una piena conoscenza del lavoro sindacale, ma sentivo la necessità e l’obbligo di sostenere il sindacato e non per una mia ideologia pregressa, ma vedendo e toccando con mano la dedizione dei delegati in azienda. Senza sindacato non ci sono diritti. Troppe fake news che girano hanno allontanato i lavoratori, l’individualismo spinto all’interno delle aziende dove si sgomita per ottenere la benevolenza dei cosiddetti capi per avere benefici personali, la “cessione” della dignità, se mi si consente, in cambio di salario.
Allontanamento dovuto, e questo devo ammetterlo, anche ad errori a livello nazionale, spesso dovuti ad una divisione sindacale troppo spesso non compresa dai lavoratori e ad una politica che si è scagliata contro il sindacato, contro una sigla sindacale in particolare, la nostra.
Siamo stati gli unici a scendere il piazza contro il Jobs Act, ma se si legge sui social, tanti ti chiedono “dove eravate?” e a poco serve citare tutte le piazze che abbiamo occupato manifestando contro le politiche messe in atto anche da un Governo che credevamo “amico”.
Ecco, partendo da questi errori, dobbiamo ricostruire una coscienza sindacale nelle fabbriche. Dopo questa crisi sanitaria, ne seguirà un’altra socio-economica, peggiore di quella del 2008. Non sarà colpa del virus, ma di chi non ha imparato nulla dalla crisi economica precedente, continuando a seguire le stesse “ricette”.
Compito del sindacato sarà quello di far capire ai lavoratori che la società ha retto  all’epidemia grazie a loro, al loro sacrificio. Questo deve far nascere in loro la consapevolezza della loro forza nell’unità, sotto l’ala del sindacato.

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Luca Ravettino

Sono nato e cresciuto a Sestri Levante, da sempre appassionato alla lettura e alla scrittura, ho avuto la fortuna di gestire una libreria per diversi anni. In seguito sono diventato copywriter, specializzandomi nel mondo dei Social Media. Oggi mi occupo anche di Digital Marketing. Con Segesta Magazine realizzo il sogno di scrivere storie per la mia città.

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